Dai Greci fino ai giorni nostri: la cronostoria del fenomeno turistico
Tuttavia, dalla caduta dell’Impero Romano fino all’Età di Carlo Magno, i viaggi divennero molto rari a seguito delle numerose invasioni barbariche che, nei secoli, assediarono l’Impero; le stesse ville di campagna, una volta destinate a villeggiatura, furono trasformate in luoghi di difesa. Con l’avvicinarsi del Medioevo, i viaggi tornarono progressivamente alla ribalta e cominciarono ad essere vissuti come uno stile di vita, trasformandosi sia in un’esperienza di libertà che in un mezzo di conquista. In epoca medievale, però, non viaggiavano soltanto i cavalieri; infatti, si ebbe una forte ripresa del pellegrinaggio verso i luoghi di culto, anche grazie all’ospitalità fornita dai vari ordini religiosi che i viandanti incontravano durante il loro cammino. Furono proprio le chiese, le abbazie e i monasteri gli unici luoghi dove trovare un alloggio sicuro, presso i quali i pellegrini trovavano accoglienza senza pagare nulla, ma spesso donando offerte spontanee per l’ospitalità ricevuta.
Durante il periodo delle esplorazioni geografiche, però, si cominciò ad assistere al tramonto della stagione dei pellegrinaggi, lasciando spazio ad una nuova concezione di viaggio, basato sulla conquista di nuovi territori e sulla volontà di avviare attività commerciali con paesi lontani, intraprendendo così nuove avventure in terre mai conosciute prima. Più tardi, durante il Rinascimento, si segnò una profonda svolta nell’interpretazione del viaggio, coinvolgendo un nuovo pubblico, anche di età e condizione sociale differente, che viaggiava per mesi se non per anni componendo un proprio diario, utile al fine di raccogliere le proprie riflessioni e narrazioni dell’esperienza vissuta. Questa nuova concezione cominciò a diffondersi capillarmente in Europa e anche in Italia, divenendo ben presto una moda che, tra il Cinquecento e l’Ottocento, prese il nome di “Grand Tour”. Questo fenomeno, noto come pratica dell’aristocrazia nordeuropea desiderosa di ampliare la propria cultura visitando Paesi stranieri, può essere considerato il primo esempio di turismo moderno: i giovani aristocratici, principalmente inglesi, e i figli delle ricche famiglie borghesi arricchivano, attraverso il viaggio, la propria formazione culturale basata sullo studio del mondo classico visitando soprattutto l’Italia e la Francia, sedi di importanti testimonianze storico-artistiche. Il viaggio, perciò, diventò espressione di un’esigenza interiore che si apriva al diverso e alle altre culture, dettata dalla voglia di conoscenza oppure dal semplice piacere di viaggiare.
Quello che oggi si chiama turismo, cioè il viaggio organizzato, ha invece una data di origine certa ed un inventore ben preciso: il 5 luglio 1841, Thomas Cook, sfruttando le nuove possibilità offerte dal treno, organizzò un viaggio di 11 miglia da Leicester a Loughborough. Ben 570 persone vi parteciparono e il successo fu tale da spingere lo stesso Cook ad organizzare pacchetti turistici sempre più particolareggiati, dando inizio all'industria turistica modernamente intesa.
Lo sviluppo del turismo che stava iniziando ad avvicinarsi a quello dei nostri giorni conobbe, in Europa, una battuta d’arresto a causa del primo conflitto mondiale e, a seguire, del Secondo. Va specificato che questa interruzione si verificò in Europa, poichè in America di turismo di massa si parlava già negli anni Venti e Trenta quando, grazie alla nascita delle ferie retribuite e allo sviluppo dell’automobile, si registrò la diffusione di una forma turismo interno, l’American outdoor, sia verso aree rurali che verso aree costiere. Tuttavia è nel secondo dopoguerra, merito di una generale stabilità creatasi in campo internazionale e all’avvento del cosiddetto periodo d’oro e quindi al rapido sviluppo economico, che in Europa si affermò il turismo di massa così come è noto ai nostri giorni.
E oggi? Negli ultimi 30 anni il mondo ha assistito a profondi cambiamenti politici, economici e sociali, un mutamento che viene spontaneo ricollegare alla globalizzazione, dei cui effetti anche il settore turistico non poteva non risentirne. La standardizzazione del servizio, a cui molte aziende ambiscono, rischia di far perdere il valore della diversità (e dell’unicità) che il mercato invece richiede, con i viaggiatori che, usciti dalla loro comfort zone, sono propensi a esplorare nuove destinazioni, provare nuove attività e fare qualcosa di inaspettato che potrebbe cambiare le loro vite. Una riflessione per nulla rinviabile.